Buona lettura e ricordate...non siamo esenti da tutto questo!
E volevo fare una piccola considerazione,voi pensate che le industrie di Taranto e dintorni non siano in regola con i permessi,le autorizzazioni?Vi dico si! Sono in regola, la Ministra Prestigiacomo si è anche rifiutata alla richiesta della Regione Puglia di rivedere e abbassare i valori permessi perchè secondo lei non esiste allarme.
Stessa storia vale per il presente e il futuro dell'Alto Lazio .
L'ambiente va tutelato è il primo ingranaggio del ciclo della vita.
http://www.corriere.it:80/cronache/08_ottobre_21/fumo_diossina_3e4495ce-9f40-11dd-b0d4-00144f02aabc.shtml
Le nuove cifre dell'Ines: qui si produce il 92% del «veleno» italiano.
Gli ambientalisti contro l'Ilva che si difende: siamo in regola
A 13 anni ha il tumore da fumo. «E' la diossina»
Il medico: mai visto un caso così. Industrie, Taranto città più
inquinata dell'Europa occidentale.
Tre mamme con il latte contaminato, cinque adulti con il livello più
alto del mondo, 1.200 pecore da abbattereDAL NOSTRO INVIATO
TARANTO --- Tre anni fa, S. aveva 10 anni. E senza aver mai fumato una
sigaretta in vita sua era già conciato come un fumatore incallito. Un
caso simile, Patrizio Mazza, primario di ematologia all'ospedale
«Moscati» di Taranto, non l'aveva mai visto. E nemmeno la letteratura
medica internazionale lo contempla. Anche a cercare su Internet, la
risposta è negativa: « No items found ». Per questo, Mazza temeva di
avere sbagliato diagnosi. Invece no. Quel bimbo aveva proprio un cancro
da fumatore: adenocarcinoma del rinofaringe. Come tanti altri tarantini,
specie quelli del Tamburi, «il quartiere dei morti viventi».
A Bruxelles forse ancora non lo sanno, ma Taranto è la città più
inquinata d'Italia e dell'Europa occidentale per i veleni delle
industrie. L'inquinamento di Taranto, infatti, è di fonte civile solo
per il 7%. Tutto il resto, il 93%, è di origine industriale. A Taranto,
ognuno dei duecentomila abitanti, ogni anno, respira 2,7 tonnellate di
ossido di carbonio e 57,7 tonnellate di anidride carbonica. Gli ultimi
dati stimati dall'Ines (Inventario nazionale delle emissioni e loro
sorgenti) sono spietati. Taranto è come la cinese Linfen, chiamata
«Toxic Linfen», e la romena Copsa Miça, le più inquinate del mondo per
le emissioni industriali.
Ma a Taranto c'è qualcosa di più subdolo. A Taranto c'è la diossina. Qui
si produce il 92% della diossina italiana e l'8,8% di quella europea.
«In dieci anni --- dice Mazza --- leucemie, mielomi e linfomi sono aumentati
del 30-40%. La diossina danneggia il Dna e un caso come quello di S. è
un codice rosso sicuramente collegato alla presenza di diossina. Se nei
genitori c'è un danno genotossico non è in loro che quel danno emerge,
ma nei figli».
Tre mamme il cui latte risulta contaminato dalla diossina, cinque adulti
che scoprono di avere il livello di contaminazione da diossina più alto
del mondo, 1.200 pecore e capre di cui la Regione Puglia ordina
l'abbattimento, forti sospetti di contaminazione nel raggio di 10
chilometri dal polo industriale (con i monitoraggi sospesi perché sempre
«positivi ») sono, più che un allarme, una emergenza nazionale. La
diossina si accumula nel tempo e a Taranto ce n'è per 9 chili, il triplo
di Seveso (la città contaminata nel 1976). Ma sono sette le sostanze
cancerogene e teratogene che, con la diossina, colpiscono Taranto come
sette piaghe bibliche.
Mentre però a Bruxelles e a Roma (e a Bari, sede della Regione) si
discute, Taranto viene espugnata dalla diossina. Basta dare un'occhiata,
oltre che ai dati Ines, ai limiti di emissione, il cuore del problema.
Il limite europeo è di 0,4 nanogrammi per metro cubo. Quello italiano,
di 100 nanogrammi. «Un vestito su misura per l'Ilva di Emilio Riva»,
dicono le associazioni ambientaliste. «Siamo in regola e abbiamo anche
investito 450 milioni di euro per migliorare gli impianti», replica
l'Ilva, che l'anno scorso ha realizzato utili per 878 milioni, 182
milioni in più dell'anno prima e il doppio del 2005.
L'Europa però è dal 1996 che ha fissato il limite di 0,4 nanogrammi.
L'Inghilterra, per esempio, si è adeguata. E la Germania ha fatto ancora
meglio: 0,1 nanogrammi, lo stesso limite previsto per gli inceneritori.
Nel 2006, Ilva e Regione Puglia hanno anche firmato un protocollo
d'intesa, ma con scarsi risultati. La «campagna di ambientalizzazione»
procede a rilento e sembra che l'Ilva intenda concluderla nel 2014,
proprio quando scadrà il Protocollo di Aarhus, recepito anche
dall'Italia, che impone ai Paesi membri di adottare le migliori
tecnologie per portare le emissioni a 0,4-0,2 nanogrammi.
Eppure a Servola, Trieste, acciaierie «Lucchini», per risolvere il
problema è bastato un decreto del dirigente regionale Ambiente e Lavori
pubblici, che ha imposto al siderurgico, pena la chiusura, di rispettare
i limiti europei. In due anni, grazie anche alle pressioni della
confinante Austria, il miracolo: dalla maglia nera, in tandem con
Taranto, Servola è diventata un centro di eccellenza, con la diossina
abbattuta fino al teutonico limite di 0,1 nanogrammi.
Certo, con una legge regionale, o con un decreto come quello friulano,
si eviterebbe anche il referendum sull'Ilva, giudicato ammissibile dal
Tar di Lecce e sicura fonte di drammatiche spaccature fra i 13 mila
dipendenti del siderurgico.
Invece c'è soltanto una delibera del consiglio comunale di Taranto che
chiede timidamente alla Regione «di fare come in Friuli».
Ma la Puglia non confina con l'Austria. Al di là del mare, c'è l'Albania.
Carlo Vulpio
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1 commento:
bello
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